Governance partecipativa dei beni culturali: riflessioni da una conferenza

Il racconto di due giorni di condivisione, partecipazione, riconoscimento e responsabilità

di Anna Maria Marras

Amersfoort, la città di Piet Mondrian, è stata la mia prima città Olandese, dove tra il 3 e il 4 ottobre ho preso parte alla conferenza Participatory governance of built heritage conference organizzata dalla Heritage Cultural Heritage Agency.

Il tema della partecipazione dei cittadini nella governance dei beni culturali è uno di quelli più importanti sia a livello locale che internazionale, si pensi al programma europeo Joint Programming Initiative on Cultural Heritage e al recente report Participatory governance of cultural heritage pubblicato dalla Commissione Europea. Un aspetto molto importante attorno a cui ruota il volume “Heritage is ours. Citizens Participating in Decision Making” pubblicato da Europa Nostra Finland.

Immagine: una veduta di Amersfoort

Durante le due giornate, attraverso la condivisione di esperienze molto diverse, ci si è interrogati su diversi punti a partire da: quale è il ruolo di volontari e di cittadini nella gestione e valorizzazione del patrimonio culturale? Quali sono i modelli o gli esempi che hanno visto con successo la realizzazione di questa collaborazione? Quali sono gli aspetti critici e come rendere queste pratiche esportabili e replicabili in contesti diversi? Come coinvolgere allo stesso modo persone che hanno esperienze, formazione e cultura spesso molto differenti?

Alcune risposte a queste domande vengono dal progetto finlandese Adopt a Monument, in cui gruppi di cittadini e associazioni si occupano, assistiti dalle amministrazioni locali, della manutenzione, del monitoraggio e della gestione di un monumento storico o di un sito archeologico, un vero e proprio esempio di impegno civico e comunitario. Invece nel progetto Collaborative Inventory of Cultural Heritage in the Landscape, promosso dal Centro di gestione forestale dello stato estone, i cittadini, insieme ad archeologi, etnografi e forestali, hanno preso parte alla mappatura di oltre 38.000 beni culturali, un bel mix di conoscenza del territorio e di competenze.

Immagine: Adopt a monument

Altri esempi di attività di coinvolgimento della comunità che mi hanno particolarmente colpito sono quello del Teatro Sociale Gualtieri, in cui un gruppo di cittadini ha fatto rinascere con un cantiere aperto e un restauro partecipato il teatro del paese, e quello della Story House Belvédère di Rotterdam, una struttura che si anima grazie all’iniziativa e alle proposte delle persone, un luogo in cui si realizza pienamente lo storytelling partecipativo. La collaborazione tra i cittadini e istituzioni può fare la differenza anche nel caso del riconoscimento della piccola realtà Leeuwarden-Fryslân come Capitale Europea della cultura 2018.

La principale risposta che è emersa a più voci evidenzia la necessità di riconoscere il valore delle persone, come afferma Graham Bell, Direttore del North England Civic Trust, la cui attività coinvolge ogni anno oltre 62.000 volontari. I cittadini attivi non hanno bisogno di una gratifica economica ma di una gratifica del lavoro svolto, del riconoscimento del ruolo che essi hanno avuto nel progetto. Risulta necessario dare dunque il giusto valore e ruolo ai cittadini e soprattutto cercare nuove strategie di coinvolgimento a lungo termine. Un dato emerso è che il coinvolgimento “dal basso”, guidato e accompagnato da esperti e professionisti e dall’amministrazione, deve essere presente fin dalle fasi di progettazione. La condivisione inoltre – come afferma Gill Chitty, Director Conservation Studies, Department of Archaeology, University of York – deve  estendersi anche alle responsabilità, per immaginare una nuova distribuzione dei ruoli di leadership e per agire in modo più democratico tra i soggetti interessati.

L’ultimo, ma non meno importante elemento di confronto è stato evidenziare l’importanza delle fasi di “ascolto” dei partecipanti e di valutazione del progetto, attraverso il monitoraggio e il racconto delle singole esperienze, fondamentali per conoscere il reale coinvolgimento delle persone e per verificare la sostenibilità del progetto.

Conoscenze e competenze condivise e storytelling inclusivo

Due casi mi hanno colpito più degli altri, primo perché da noi non sarebbe realizzabile per motivi legali, il secondo per la diversità di approccio e l’attenta ricerca. Il primo è un progetto di mappatura collaborativa tra archeologi e la comunità di metal detector, avete capito bene!, in Olanda dal 2016 usare il metal detector entro un certa profondità è legale. In questo modo è nato il Portable Antiquities of the Netherlands in cui vengono mappati e schedati in una banca dati pubblica i ritrovamenti fatti dalle persone. Per motivi legali da noi un modello del genere non è replicabile, ma mi chiedo, nel caso in cui si potesse, quale sarebbe la relazione tra archeologi e cittadini appassionati,  e inoltre se una simile iniziativa potrebbe incentivare o sconfiggere i tombaroli.

Il secondo progetto è quello presentato da  Jennifer Tosch, fondatrice di Black Heritage Tours e membro del Mapping Slavery Project. Non si tratta di un vero e proprio progetto di partecipazione civica ma di un nuovo modo di raccontare la storia: il Black Heritage Tours attraverso il quale le persone scoprono attraverso luoghi, spazi e architetture la storia poco conosciuta dei migranti africani che arrivavano ad Amsterdam. Jennifer fa parte anche di Mapping Slavery, un progetto di storia pubblica che ricostruisce la storia olandese della schiavitù e le sue intersezioni tra passato e presente. Senza dubbio un modo nuovo per rileggere in modo più  inclusivo le dinamiche storiche, sociali, economiche e culturali di un “paese in movimento”.

Condividere le responsabilità: sperimentare modelli partecipativi di governance

Unaconsiderazione finale rispetto anche al progetto Integrity Pacts: Civil Control Mechanisms for safeguarding EU funds: non sono stati presentati casi simili, non solo riguardo la tipologia di attività svolta, quella del monitoraggio civico di un bando pubblico, ma anche per i partecipanti, poiché ActionAid e i suoi partner, oltre agli altri ruoli svolti all’interno del progetto, rivestono quelli di intermediari/facilitatori tra i cittadini e la Pubblica Amministrazione.

Questo modello sperimentale, soprattutto in un contesto come quello italiano, è importante e cruciale per creare non solo nuove forme di dialogo tra cittadini e Pubblica Amministrazione, ma anche per instaurare un rapporto di fiducia reciproca che potrebbe portare nel futuro a nuovi modelli di gestione condivisa e partecipata dei beni comuni.

Mi piace pensare che, in un futuro non molto lontano, in un paese come il nostro, dove paesaggi, città e cultura immateriale sono allo stesso tempo i protagonisti e i narratori di una storia viva e continua, si sperimentino nuovi modelli di governance partecipata in grado di sconfiggere il forte disamore per i beni culturali, che troppo spesso si sposa con la mancanza di fondi, di personale e con una burocrazia estenuante.

Chissà se questo potrebbe proprio essere il seguito del progetto stessouna gestione partecipata del sito e del museo, in cui anche i cittadini partecipano e condividono le responsabilità della gestione e della valorizzazione animandolo anche con le loro iniziative, del resto uno dei ruoli dei musei e dei luoghi della cultura è anche quello di essere al servizio della società, e del suo sviluppo (Definizione Museo di ICOM).

Prossimi appuntamenti

Fair of EU Innovators’ and ‘Cultural Heritage Alive 15-16 novembre Brussels
 

Sitografia

*L’immagine di copertina è tratta dal volume “Heritage is ours. Citizens Participating in Decision Making